Capitolo 5 - Il Brigntaggio sino al 1865
INTERNATI MILITARI ITALIANI > BRIGANTAGGIO
Autore: Prof. Francesco Bove - Preside in Quiescenza
articolo pubblicato il 29 Ottobre 2021
Capitolo 5°
Il brigantaggio sino al 1865
Vittorio Emanuele II° stronco' con la violenza la resistenza meridionale, non avendone compreso la natura.
Essa infatti non si oppone all'unità d'Italia o ai conquistatori piemontesi, né vuole restaurare i Borboni, e’ solo una rivolta sociale contro i tradizionali proprietari terrieri.
Il brigantaggio è una sorta di ribellione della campagna contro la città.
Certo nel Sud diede origine ad una vera e propria guerriglia che rappresento' un fatto sociale imponente per ampiezza e partecipazione. Per stroncarla fu necessario l'utilizzo dell' esercito affiancato dalla Guardia Nazionale in pieno assetto di guerra.
Una guerriglia insidiosa, spietata che duro' cinque anni e si propago' in tutto il territorio dell'ex regno delle Due Sicilie.
Già nel 1860-61 dilagava in modo impressionante e fulmineo. Molti centri anche importanti erano controllati dai briganti, intere popolazioni di villaggi si sollevavano e davano la caccia a chiunque offrisse collaborazione ai Piemontesi.
La tensione è generalizzata in tutto il territorio meridionale e sommosse avvengono un po' dovunque: nell'ottobre del 1860 si hanno violente dimostrazioni contro il governo a Napoli, a Teramo, a Barletta ,il 9 gennaio 1861 e a San Severo. Tutto ciò si ripercuote negativamente sulla già precaria situazione economica del Sud; già nell'estate del 1860 si registra una stasi negli scambi commerciali con l'estero, una serie di fallimenti e di licenziamenti. La minaccia di disoccupazione da parte dei braccianti agricoli e l'accaparramento del raccolto da parte dell'esercito, porta al rincaro dei generi alimentari e negli anni successivi si assiste al crollo dell'industria meridionale e all'aumento del costo della vita.
Il 1861 è l'anno di grazia del brigantaggio, trionfa dovunque. Tale irrequietezza esplosiva è alimentata dalla durezza della repressione della Guardia Nazionale prima e dell'esercito poi. Bande mobilissime, ben organizzate cominciano a premere sui grossi centri, già nel marzo-aprile del 1861, occupano parecchi paesi nel casertano e nella provincia di Foggia. Nella stessa Napoli ci sono assalti in massa alle caserme della Guardia Nazionale.
Verso la metà del luglio del '61 entra in campo l'esercito con i suoi migliori generali: Cialdini, Pallavicini, La Marmora, la repressione e' violenta: fucilazioni ovunque in pubblica piazza.
Nel Salento si ebbe inizialmente un brigantaggio minore, tanto che la nostra provincia non venne inserita tra quelle dichiarate "invase dal brigantaggio" e solo nel 1862 fu inclusa nel circondario di Taranto, dove la caratteristica del terreno e la vicinanza della Basilicata determinarono l'esistenza di un brigantaggio piu' aggressivo.
Nella primavera del 1862, dopo l'immobilità imposta dalla stagione invernale, particolarmente fredda quell'anno, le bande ripresero la loro attività, particolarmente in Basilicata (Crocco, e Tortora), in Capitanata (Caruso, Cicogna) e nel Beneventano (Cosimo Giordano e Frate Santo).Nel 1863 il brigantaggio divampo' ovunque nel Meridione, il governo cerco’ di correre ai ripari con arresti in massa e rappresaglie contro chi era sospettato di collaborare con i briganti.
I centri urbani erano difesi da un esercito formato da 85.940 soldati sedentari e da 65.875 soldati mobili nel solo 1863 .
Di contro centinaia di bande di briganti, pronte a tutto controllavano vaste zone e tenevano in scacco l'esercito regolare.Eppure erano dotati di un armamento di molto inferiore a quello delle truppe: fucili da caccia e armi da guerra tolte al nemico, non avevano molta dimestichezza nell'uso della sciabola e temevano lo scontro con lacavalleria.anche se quest’ultima era di difficile impiego per gli aspri terreni dell'Appennino,la natura selvaggia dei luoghi infatti e la mancanza di strade e di carte topografiche creava ostacoli enormi alle truppe
Bisognava affidarsi spesso a guide locali col pericolo di imboscate e di distruzione quasi totale di interi reparti.
Solo i bersaglieri sia per il loro particolare addestramento sia perché organizzati in battaglioni più agili rispetto al reggimento davano buona prova nella repressione.
Un altro intralcio all'opera dell'esercito era costituiro dal burocratismo. Il 6° Gran Comando aveva istituito varie zone militari rigidamente delimitate, spesso senza coordinamento , specie tra le zone confinanti, i reparti di una zona non erano autorizzati a varcarne il confine, per cui bastava ad una banda portarsi al di là di una linea per non essere più inseguita.
Nonostante il crescente impiego di truppe e la severità nella repressione, la guerriglia nel Sud continuo’ violenta.
Bisogno’ ricorrere ad una legge ad hoc, preparata da una commissione parlamentare: la famosa legge Pica del 1863,una legge da stato d'assedio, la più illiberale della nuova Italia, con repressioni feroci.
La legge Pica dava competenza ai tribunali militari di giudicare i briganti e fucilarli in piazza,nonche' la possibilità di inviare i sospetti al domicilio coatto.
Si combatte’ una guerra sanguinosa che e’ costata in armi, vittime ,denaro, danni ,assai più di tutte le guerre combattute dal 1848 al 1866. Venivano reclutate squadre di volontari a piedi e a cavallo. Tra il 1863 e il 1865 la forza dell'esercito tocco’ la punta massima di 117.000 uomini. Il generale La Marmora che dirigeva in quegli anni il 6° Gran Comando, affido' le truppe al generale Emilio Pallavicini. Questi, intelligente e astuto, accetto' il metodo della guerriglia e ,mentre si sforzava di conquistarsi la fiducia delle popolazioni ormai stremate, isolando i briganti, organizzava operazioni di distruzione delle bande più importanti.
Col ferro, col fuoco e col sangue alla fine vinse l'esercito regolare di Vittorio Emanuele II°: vittoria amara conseguita su gente che pure era italiana ,una vittoria che lasciava insoluti i secolari problemi della società meridionale.,in parte irrisolti ancora oggi. Vaste zone furono ancora infestate da briganti, ma non si tratto' piu' di guerriglia: il brigantaggio fini per diventare un fenomeno endemico, inevitabile nelle zone socialmente e culturalmente depresse. Pur conservando il suo vecchio carattere di rivolta sociale, assunse ora foschi colori romantici, ora cupi bagliori criminali; un'ambigua classe borghese aggancio' gli ultimi briganti strumentalizzandoli e sfruttandoli a suo piacimento.
Gli storici concordano nel porre nel 1870 la fine del brigantaggio nell’ Italia Meridionale.Quante siano state le vittime di questa lotta è difficile da stabilire. Il silenzio ufficiale sulle perdite dell'esercito è ostinato, molti soldati furono uccisi anche perché colpiti dalla malaria e dal tifo.
Per quanto riguarda i briganti si è calcolato che dal 1 giugno al 31 dicembre del solo 1865 siano stati uccisi ,in combattimento o fucilati, 5212 uomini, ma il calcolo si basa su dati parziali e approssimativi.
Il brigantaggio fu colpito a morte, ma non stroncato, le cause erano troppo profonde perché potessero essere rimosse dalla semplice azione militare mentre le condizioni sociali che avevano prodotto tale fenomeno rimanevano immutate.
Resta tuttavia di questa lotta tra briganti ed esercito un risultato positivo importante: Italiani del Nord e del Sud, impegnati nella stessa lotta, costretti alle stesse fatiche e allo stesso dramma, indossando la medesima divisa, cominciavano a conoscersi e a rispettarsi, un nuovo spirito faticosamente e lentamente stava nascendo: l'identita' nazionale.
Francesco Bove
Grazie per l'attenzione