Pietro De Florio
STORIA D'ARTE
PIETRO DE FLORIO
Nota dell'autore: "Il lavoro che nel seguente saggio rappresentiamo prende spunto, come dalle note riportate, dalla ricerca e dagli studi pubblicati da Paolo Marzano".
Alle origini del Barocco leccese. Il Cenotafio degli Acquaviva a Nardò
Introduzione
Nel panorama culturale rinascimentale del Regno di Napoli, Nardò tra il ‘400 e 500’ ricopre un ruolo non trascurabile è un centro secondo solo a Lecce, in particolare nel campo della scultura si distingue l’opera dello scultore neretino Francesco Bellotto, anche operativo a Mesagne (1) e probabilmente pure a Galatone, quale esecutore del portale della chiesa di San Sebastiano (2). La sua vicenda biografica coincide con la realizzazione a Nardò del Cenotafio degli Acquaviva (1545) nella chiesa di S. Antonio da Padova e del portale del Carmine (3) (1532), comunque vi è concordanza della critica di attribuirgli le opere anzidette.
Il Cenotafio di Nardò (Figg. 1,2,3), cioè un monumento funebre senza la presenza del defunto o defunti, presenta analogie con il portale del castello di Copertino ed entrambe le opere possono considerarsi elementi precursori di ciò che sarà il barocco leccese (4). Infatti sulla trabeazione del monumento neretino, entro due tondi come augustales federiciani (come a Copertino), compaiono i profili forse attribuibili ai due duchi (Figg. 27, 29) di cui si parlerà a breve. Evidenti parallelismi, soprattutto per il basamento, si riscontrano in un’altra opera funeraria, sebbene meno recente, realizzata da Nuzzo Barba a Conversano5. Quindi non si tratta di un fatto isolato, ma inquadrabile, benché raro e in ritardo, nella cultura umanistica (toscana in particolare) del monumento sepolcrale, quale duraturo ricordo di personalità illustri (da Pope Hennessy).
La configurazione del monumento
Nel cenotafio l’arca centrale è dedicata a Bellisario Acquaviva, l’altra in basso al figlio Giovan Bernardino e, le quattro statue poste davanti ad altrettante colonne rappresentano le quattro virtù cardinali (6), cioè la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza (Figg. 1,4,5,6,7). La prima virtù con una mano stringe un serpente che la cinge fino alla spalla (allusione alla prudenza dei serpenti (7) e con l’altra forse avrebbe dovuto reggere uno specchio che, secondo la tradizione medievale, significherebbe la realistica capacità dell’uomo saggio di vedersi per ciò che è. La giustizia alza un braccio, come a voler pronunciare una sentenza, secondo la consuetudine iconografica, oppure ipoteticamente, con la stessa mano, avrebbe potuto impugnare una spada, quale emblema di potere e con l’altra mano (assente) reggere una bilancia (assente) simbolo di imparzialità. La fortezza poggia la mano sinistra sulla testa di un leone, cioè il simbolo del coraggio. La temperanza, ultima statua a destra, versa da un orciuolo dell’acqua in una coppa, perchè l’acqua stempera l’esuberanza dei sensi, spegnendo l’ardore e il fuoco della lascivia.
La prima epigrafe a sinistra appesa alle fauci di una testa leonina recita: “All’illustre Bellisario Acquaviva, duca di Nardò, eccellentissimo in casa e fuori, marito di Sveva Sanseverino quale attestato di imperituro ricordo, pose nel 1545” (8) (Fig.9). Al centro tra la seconda e terza virtù stanno due robusti soldati, vale a dire il richiamo allegorico delle gesta degli Acquaviva (Fig. 17). Questi in una postura ricurva sostengono sulle spalle l’urna dedicata a Bellisario e con una mano, ciascuno regge un grande scudo raffiguranti gli emblemi della famiglia, comprese le insegne della casata dei Gaetani, cioè la famiglia di Giovanna, la sposa di Giovan Bernardino. Fu lei a volere questa “tomba” per essere seppellita insieme al marito, al suocero Bellisario e di sua moglie Sveva Sanseverino(9). Sotto i due militi compaiono quattro grifoni (Fig. 25), un animale fantastico già presente nel mosaico di Otranto e sulla guglia di Soleto, possiede la qualità dell’aquila e quella del leone, cioè la vigilanza e il coraggio, oppure il divino (aquila) e l’umano (leone), ossia la duplice natura del Cristo. Rilievi di teschi, tibie ed ornamentazioni vegetali decorano il sarcofago dedicato a Giovan Bernardino, collocato sotto i grifi e sostenuto alla base da due possibili sfingi simboli di potenza, vigilanza e arcana sapienza, ma queste potrebbero significare anche la lussuria in quanto soggiogata e schiacciata dalle grandi statue delle virtù (Figg. 33 vedi immagine)
Grappoli d’uva, pigne, fichi, melograni, melecotogne, uva, un armamentario simbolico che rappresenta i frutti innumerevoli (come chicchi) della fede, il sangue di Cristo, il suo amore per l’umanità, la rinascita ecc (12) (Fig.26)
In alto il monumento si conclude con due statue di santi ai lati della finestra centrale (Figg. 29, 33).
In alto il monumento si conclude con due statue di santi ai lati della finestra centrale (Figg. 29, 33).
Questa opera rinascimentale, come argomenta Paolo Marzano, risente di molteplici influssi culturali anche europei, grazie alla committenza degli Acquaviva d’Aragona, famiglia inserita nel circolo delle grandi casate europee dominanti delle quali l’Imperatore Carlo V teneva in gran conto. Gli oggetti d’arte, attraverso commerci, eserciti, importazioni ecc., muovendosi dall’area mediterranea ed europea al resto della penisola, passavano per il Salento, arricchendo il proprio lessico, già contaminato contaminato da varie culture (anche nord europee). Così soggiunge il Marzano, viaggiano le merci, le cose preziose, gli oggetti d’arte (tabernacoli, polittici, reliquiari ecc.), per corti e feudi, specialmente dopo Lepanto (1571), gusti e stili si trasformano, assumendo forme originali nel nuovo luogo di arrivo.
Proprio per queste influenze le statue delle virtù mostrano effetti pittorici e risalti luministico – chiaroscurali, esaltati dai dettagli dell’abbigliamento (13). Questi esiti, sebbene non usuali nella cultura figurativa pugliese del primo Cinquecento, ci giungono attraverso i modelli “ellenizzati riconvertiti” diffusi dai trattati coevi. Era un modo degli artisti salentini per aggiornare la produzione artistica (14) alla ricerca di nuovi formalismi, come per esempio negli angeli del cenotafio dedicato a Giovanni Antonio Del Balzo a Galatina(15).
Il drappeggio delle virtù, caratterizzato da vortici ed “insolite e impreviste pieghe” (16) (Fig.11), ricorda la tradizione quattrocentesca della pittura italiana da Andrea Del Castagno e Piero Della Francesca (aggiungo io), da Andrea Mantegna (Fig.12), Botticelli (natività del 1501), alla scuola ferrarese, in particolare con Francesco Del Cossa (Fig. 13) e (l’ affresco “Il carro di Atena” nel palazzo Schifanoia a Ferrara), per i dettagli, invece, bisogna guardare alla tradizione fiamminga, dopotutto casata che governa Napoli era la stessa che controllava i Paesi Bassi (17). Un altro elemento che influenza la massa plastica delle virtù deriva probabilmente dalle incisioni dei cosiddetti “tarocchi del Mantegna”: carte da gioco non certo disegnate dal Mantegna, ma che, comunque, risentono del suo stile, nonché della scuola ferrarese, in quanto prodotte a Ferrara intorno al 1422 da qualche incisore presso la corte estense (18) (Fig. 14).
Note:
1 Antonio Franco, L’Opera di un Ignoto Scultore Salentino del Rinascimento. Riv. “La Zagaglia” , 1959 vol. IV, pp. 1 – 15; voll. V e VI, 1960, pp. 1 – 24; 30 – 49
2 Vittorio Zacchino, Francesco Bellotto, scultore di Nardò e il cinquecentesco corteo trionfale della chiesa di S. Sebastiano a Galatone, in “Spicilegia Sallentina”, n.3 giugno 2008, p. 74
3 Vittorio Zacchino, Storia e Cultura in Nardò, fra Medioevo ed età Contemporanea, Congedo Galatina, 1991, pp. 16 - 17
4 Rapporti tra Centro e Periferia, il Caso di Nardò, Galatone, Seclì. Testi a cura di Mario Cazzato, C.S.P.C.R Nardò, 1988, p. 11
5 Ivi, p. 12
6 Come sostiene Mario Cazzato un primo modello di monumento funebre di derivazione napoletana è quello realizzato per Maria D’Enghien a Santa Croce nei primi anni del ‘400. Il Cazzato ne riporta la citazione cinquecentesca, tratta dall’Apologia Paradossica: “mausoleo…col ritratto della Reina Maria….con l’’immagine della prudenza alla destra con lo specchio alla mano destra, e con la serpe alla sinistra, e con l’immagine della giustizia …con la spada sfoderata alla man destra, e con la bilancia alla sinistra …in alto è l’immagine della fortezza con due colonne in mano, e …quella della temperanza con due coppe alle mani”, più o meno le stesse figure del cenotafio di Nardò (Rapporti tra Centro e Periferia, il Caso di Nardò, Galatone, Seclì. Testi a cura di Mario Cazzato, C.S.P.C.R Nardò, 1988, p. 12)
7 Matteo, 10, 16, cioè: “Siate prudenti come i serpenti”
8 Traduz. dal latino di Emilio Mazzarella, Nardò Sacra, a cura di Marcello Gaballo, Congedo Editore, Galatina, 1999, p. 245
9 Ivi, p. 246
10 Ibidem
11 Cesare Ripa, Iconografia (1593), in Iconologia del Cavalier Cesare Ripa perugino, Nobilmente accresciuta
d’immagini, di annotazioni, e di fatti dall’Abate Cesare Orlandi, tomo I, Perugia 1764, p.59
12 Giuseppe Rocchetti, Dizionario illustrato dei simboli, emblemi, attributi, allegorie, immagini degli dei,
Hoepli, Milano, 1922, pp. 739, 217 - 218
13 Paolo Marzano, Intorno al Mausoleo dei Duchi Acquaviva di Nardò (Parte prima), “Cultura Salentina”,
Rivista di Pensiero e Cultura meridionale, 04.09.2012, pubblicato online suddiviso in tre parti.
14 P. Marzano, cit, (Parte seconda), 14.09. 2012, pubblicato online
15 P. Marzano,cit, (Parte terza), 05.10.2012, pubblicato online
16 Ivi, (Parte prima)
17 Ivi, (Parte prima)18 Ivi, (Parte seconda)
19 Ivi (Parte prima)
20 Gilles Deleuze, La Piega. Leibniz e il Barocco, a cura di Davide Tarizzo, Einaudi, Torino, 2004, p. 228PIETRO DE FLORIO
Nardò, 15 Febbraio 2022