Gino Caputo
SAGGISTICA
GINO CAPUTO 14 Maggio 2021
"Storie di ceramiche, botteghe e vasai a Nardò tra i secoli XVI e XIX." di Riccardo Viganò
Riccardo Viganò con il suo pregiato volume <<Alla Mensa Degli Angeli>>, Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce, 2016 - <<ha fatto riemergere dall’oblio (…) i “fantasmi” di quei ceramisti e produttori di ceramiche che, attraverso i secoli, hanno contribuito a rendere quasi mitici gli oggetti da loro stessi creati nella Città di Nardò>>.
E’ un importante tassello della storia del nostro remoto spaccato sociale e del rapporto con il territorio, che l’approfondita ricerca d’archivio dello studioso Viganò (brianzolo di nascita ma salentino di radici lontane e che vive a Galatone), regala alla nostra conoscenza.
Egli sviluppando i suoi precedenti lavori ci ha fornito un quadro soddisfacente della sua ricerca sulla maiolica di Nardò, evidenziandone la pecularietà di importante centro produttivo nei secoli passati.
Vengono così individuati altri nomi di ceramisti presenti a Nardò già nella seconda metà del Cinquecento, ancorchè provenienti da altri paesi (Bonsegna, Manieri, Perrone).
Nel centro di Nardò le botteghe dei vasai, per la produzione di maioliche a partire dal Cinquecento, venivano denominate “botteghe per consar tielli” o “bottega per lavorar codimi di creta” o “di lavorar faenze”.
In Nardò l’alta concentrazione di atelier era presso l’area dei “Piattari” (in vicinanza di un punto strategico della città come Porta S. Paolo - ved. Osanna).
Le botteghe erano così distribuite: due in via Osanna, due in corso Vittorio Emanuele II, nove in via Pellettieri (qui occupavano tutto il lato destro della via che verso la fine del XVII secolo era conosciuta come “li Piattari”), una non censita in via Angelo delle Masse (area conosciuta in periodo tardo medievale con il nome “lutificulus”).[1]
Di particolare importanza al fine della certosina ricerca dell’autore è il richiamo al ritrovamento dello scarico di via Angelo delle Masse, occasione per evidenziare che, a fronte di una notevole quantità di notizie archivistiche che testimoniano l’attività di un certo numero di impianti manifatturieri legati alla produzione ceramica a Nardò tra il XVI e il XIX secolo, gli stessi purtuttavia non risultano ancora archeologicamente indagati.
Grande importanza riveste quindi il ritrovamento del predetto scarico di pezzi di ceramica posto nelle immediate vicinanze del Monastero di S. Chiara, in via Angelo delle Masse, al limite con via S. Lucia, in quell’area che, nella documentazione ecclesiastica riguardante la zona adiacente la chiesa di S. Giovanni, veniva definita “prope lutificulus” o vicino ai ceramisti[2] e prospiciente all’area estrattiva di argilla chiamata “la Crita”.
Detto scarico, di rilevante importanza archeologica, è stato scoperto nel 2015 durante i lavori di riqualificazione del centro storico ed ha fatto incidentalmente (sic!) evidenziare una fossa di forma ed ampiezza non definibile, profonda 1,60 m dal manto stradale. Il riempimento era costituito da tre livelli di composizione:
-uno strato superficiale contenente soprattutto macerie provenienti dalla demolizione di una fornace e frammenti ceramici smaltati;
-uno strato sottostante con matrice argillosa ;
-fondo della buca, ricavata nelle argille e probabilmente realizzata per l’estrazione della stessa, contenente infine un’ultima gettata di risulta composta da scarti di prima e seconda cottura.
Interessante è inoltre la tavola (fig. 27, p. 90) nella quale l’autore riporta l’Area di rinvenimento degli scarti di lavorazioneevidenziati con precisione in ben otto punti nello stralcio planimetrico del centro storico di Nardò.
Sono indicazioni preziose che si spera potranno essere oggetto di indagine archeologica e non di…ritrovamento incidentale.
GINO CAPUTO
1 Fig. 5, p. 36
2 B. VETERE, Città e monastero. I segni urbanidi Nardò (sec. XI – XV ( a cura di) B. Vetere, Galatina, 1981, p. 104.
GINO CAPUTO 7 Aprile 2021
<<Era un mondo diverso>>, di Antonio Martano, Edizioni Il Cittadino, 1994. (A cura di Gino Caputo )
Questo libro è venuto tra le mie mani alcuni anni or sono per gentile omaggio di Dino Martano, figlio dell’autore.[1]
Ero alla ricerca di fonti bibliografiche che parlassero della vita di personaggi remoti popolani di Nardò, da far confluire in appendice nel libro che ero in procinto di scrivere, ad integrazione di tanti altri personaggi che descrivevo e che avevo personalmente conosciuto negli anni ’60 e ’70.[2]
Antonio Martano oltre a tracciare con passione e dovizia di particolari il percorso autobiografico della sua infanzia, fanciullezza e adolescenza, vita interamente vissuta a Nardò dai primi decenni del ‘900, ha tratteggiato personaggi realmente vissuti e personalmente conosciuti. Nel contempo, la penna e la vocazione del docente hanno impreziosito il libro rendendolo un valido e raro strumento didattico entrato nelle Scuole Medie della nostra provincia (sottotitolo: “Letture per alunni di Scuole Medie”). Ogni racconto, infatti, è stato corredato di “schede di lavoro” da cui trarre spunti di riflessione per temi, ricerche e componimenti vari che sicuramente hanno arricchito il bagaglio culturale e formativo di chi ha avuto la fortunata opportunità di utilizzarne il testo.
Il prof. Martano ha voluto premettere nel suo libro che «nello scrivere questi racconti che non hanno alcuna pretesa d’opera d’arte, ho attinto perciò al mondo della mia particolare infanzia, alle mie esperienze di alunno delle Scuole Elementari e Medie, a tipi e figure caratteristiche del mio paese, che mi furono particolarmente cari, all’ambiente ed agli usi e costumi della società contadina e medio-borghese, che costituiscono il mio mondo incantato di una fanciullezza serena e felice che ancora ricordo con piacere non senza una punta di nostalgia».
Un “mondo diverso” che sembra tramontato per sempre.
Da questo libro ho potuto stralciare il ritratto di due noti e remoti personaggi popolari vissuti in epoca precedente al mio “amarcord” : Ucciu ‘ttu e “Mesciu Tore masculu e femmina”
Ucciu ‘ttu
Antonio Martano traccia un’integrale descrizione della vita di questo personaggio avendolo personalmente conosciuto sin dall’infanzia. Il personaggio è vissuto a Nardò dai primi decenni del ‘900 sino al periodo della seconda guerra mondiale. Tale puntuale testimonianza, chiarisce e corregge ricordi di chi ha conosciuto (altro) “Ucciu ttu” in un periodo risalente invece agli anni ‘50 e ‘60. È verosimile pensare che il personaggio di questi più receni decenni era ben diverso dall’”Ucciu ttu” “originale” del quale avrà ereditato soltanto il soprannome.
Mesciu Tore (“Masculu e femmina”)
Questo personaggio si perde nella notte dei tempi pur essendo stato spesso equivocamente nominato tra i personaggi popolani di Nardò. Antonio Martano sgombra false dicerie ed errati ricordi di paese che hanno spesso identificato il predetto in un “diverso”. Niente di tutto ciò!
Mesciu Tore era un onesto e bravo artigiano costretto a vestirsi in modo “inusuale” soltanto perchè aveva un cronico problema di …incontinenza urinaria.
Grafiche di Lino Prete
___________________________________________________
[1] Il prof. Antonio Martano (Nardò 12/12/1918 – 15/8/1998) laureato in Lettere Moderne è stato Preside R.O. di Scuola Media Statale di Nociglia, Nardò, Aradeo e Galatone e docente presso il Liceo Classico "D. Alighieri" e l'Istituto Tecnico Commerciale di Stato "E. Vanoni" di Nardò e prevalentemente presso la Scuola Media Statale "Dag Hammarskjold di Nardò, quale docente di materie letterarie.
Corrispondente de "Il Tempo" , "Il Buonsenso" ed il "Roma", fondò e diresse "Il Cittadino" periodico del Circolo Cittadino di Nardò, nel periodo della sua Presidenza presso quel sodalizio.
[2] L. CAPUTO, Amarcord Nardò…, Congedo Editore, 2017.
GINO CAPUTO 6 Aprile 2021
CITTADINI E SUDDITI
La straordinaria esperienza di Alberto Bertuzzi – difensore civico, cittadino "scomodo" o “disobbediente” – racchiusa ormai in cinque o sei libri editi negli anni Settanta - merita di essere ricordata per diversi ordini di motivi.Non fu tanto l’”ombudsman” (figura del difensore civico peraltro già esistente in altri Paesi nella strada della democrazia sostanziale) a rendere famoso Bertuzzi nella politica degli anni ’70, quanto la prova di forza che da “cittadino qualunque” lo stesso riuscì ad imporre.
Egli fu il primo cittadino coraggio, che riuscì a dimostrare come con il semplice esercizio civico quotidiano, sia possibile riportare nell’alveo democratico il potere arrogante di parlamentari, ministri e politici vari di spicco che spesso e volentieri si ritenevano anzicché addetti a “funzioni esecutive” al servizio del paese, gestori di quel deprecabile potere arrogante.
Non fu tanto l’”ombudsman” (figura del difensore civico peraltro già esistente in altri Paesi nella strada della democrazia sostanziale) a rendere famoso Bertuzzi nella politica degli anni ’70, quanto la prova di forza che da “cittadino qualunque” lo stesso riuscì ad imporre.
Egli fu il primo cittadino coraggio, che riuscì a dimostrare come con il semplice esercizio civico quotidiano, sia possibile riportare nell’alveo democratico il potere arrogante di parlamentari, ministri e politici vari di spicco che spesso e volentieri si ritenevano anzicché addetti a “funzioni esecutive” al servizio del paese, gestori di quel deprecabile potere arrogante.
La rivoluzione civica operata da Bertuzzi ritengo fosse incentrata sui seguenti punti:
1) Aver ridefinito con dignitosa consapevolezza la distinzione tra il cittadino sovrano in democrazia, dagli unici e veri sudditi al servizio, per loro scelta, nell’amministrazione del paese.
2)E’ l’esercizio quotidiano e puntuale del potere civico che stabilisce il giusto equilibrio fra il ruolo riservato ai “signori del Palazzo” soggetti costituzionalmente al potere di controllo di chi li ha eletti, cui devono rendere conto civicamente del loro operato per tutto il relativo mandato.
3)L’arroganza del potere è un’aberrazione ed un insulto alla democrazia: il cittadino sovrano ha dalla sua parte il dettato costituzionale che gli riserva fin dai primi articoli i diritti e i doveri mentre prevede per l’uomo di potere (il vero servitore dello Stato) soltanto doveri tra i quali il primo è quello di dare conto della propria attività pubblica ai cittadini che lo hanno eletto.
L’attività di promotore civico di Bertuzzi cominciò, quasi per caso nel 1970, su un ponte sconnesso di Venezia, sua città natale: un buco sul ponte dell’Accademia si presentava come “un vero e proprio attentato”.
Da lì una lettera al sindaco di Venezia e il conseguente scarica barili di costui con l’assessore dei Lavori Pubblici. Bertuzzi perde la pazienza e consulta il codice penale. Dopo una denuncia all’Autorità Giudiziaria, ecco fervere i lavori di sistemazione sul ponte.
Da allora l’impegno civico di Bertuzzi si estende a ben altri campi: le rotte dell’ALITALIA e l’inquinamento sonoro, le battaglie contro la cava del Boîte, fino alle “cattive abitudini del potere”, episodi che vanno dai doni di nozze di Ciriaco De Mita, alla dichiarazione dei redditi dei membri del governo, al clamoroso ”caso Cattanei”.
Il suo è un pane quotidiano d’azioni civiche che ciascun cittadino, ormai sperimentato e collaudato, potrà (o forse dovrà) usare quale “segreto potere” contro gli abusi del potere arrogante.
<< Sarà un chiodo fisso il mio - ammette il cittadino Bertuzzi (in L'onorevole cittadino e il suo segreto potere, di Giorgio Medail, Milano, 1978, pag. 119) - ma la cattiva abitudine di chiamare onorevoli i deputati, non può che alimentare da un lato l'arroganza del potere e dall'altro il comportamento servile di chi, più che un cittadino, appare un suddito>>.<<Al membro della Camera dei deputati non darò mai l'aggettivo di "onorevole" perché la camera non si chiama Camera degli onorevoli ma Camera dei deputati. Piuttosto dovrebbe essere il Parlamento a definirmi onorevole in quanto io sono un cittadino e come tale componente di quel popolo sovrano che l'ha designato alla Camera e che per questo servizio lo retribuisce con un'indennità in base all'art. 69 de Costituzione>>.
Il cittadino Bertuzzi deciderà così di contestare alla S.I.P. “l'aggettivazione di fantasia degli utenti privati negli elenchi telefonici alfabetici”.
- <<Ho notato che alla posizione corrispondente di qualche utente telefonico, figura negli elenchi l'aggettivo di "onorevole, conte, ecc." poiché non si tratta di titoli ma di semplici aggettivi, privi di alcuna disciplina giuridica, le sarò grato se vorrà cortesemente accogliere la mia istanza consistente nella sostituzione dell'aggettivo di "onorevole" con la qualifica di deputato eliminando invece del tutto gli aggettivi nobiliari che, come è noto, non sono riconosciuti dalla nostra Repubblica>>.
<<Qualora la mia proposta non venga accolta, prego aggiungere alla posizione corrispondente gli aggettivi di "eccellenza, onorevole e principe", oltre al mio titolo di dottore …>>.
In definitiva gli scritti e le esperienze provocatorie di Alberto Bertuzzi (nell’arco dal 1970 al 1988 anno della sua scomparsa) si propongono di armare ogni lettore cittadino di una “P 38 civica” per mobilitarlo nella più entusiasmante delle attività in una libera democrazia: l’esercizio del potere civico.
Un messaggio ed un invito quanto mai valido per tutti nella realtà quotidiana in un contesto abbisognevole di ben più vitale e civica presenza, pena il degrado e l’arretratezza del tessuto sociale, economico e culturale cittadino, al di là di strategiche e pretestuose intromissioni di carattere partitico.
D'altronde in linea con il movimento "bertuzziano" è il messaggio che viene da una delle più pregevoli penne del giornalismo italiano, nel commentare la progressiva disaffezione della gente verso la politica, Indro Montanelli, nella sua rubrica di Oggi del 16 dicembre 1998, pur con la sua consueta arguta e determinata "spigolosità", sottolinea in proposito:
<<Fra gli italiani, ci sono degli scampoli di altissima qualità, ma come collettività, noi non siamo mai riusciti a diventare né un popolo né una nazione, né uno stato. Ne abbiamo inventato dei fac-simili anche ingegnosi, ma ai quali sempre è mancata la cosa fondamentale: una coscienza civile e morale>>.
<<Dalle nostre famiglie e dalle nostre scuole possono uscire degli eccellenti medici, degli eccellenti ingegneri, degli eccellenti ricercatori, degli eccellenti imprenditori e menager. Il cittadino, mai. Anzi bisogna andare cauti nell'uso di questa parola, solitamente accolta con un sorrisetto di scetticismo, o con una smorfia di fastidio. Ma la mancanza, in una società del cittadino, è come quella della materia prima per un'industria>>.
NOTE BIOGRAFICHE E BIBLIOGRAFICHE
Alberto Bertuzzi (1913-1988) nacque a Venezia da madre argentina di origine spagnola. Laureato in scienze agrarie con specializzazione in ecologia, è stato successivamente ricercatore scientifico, tecnologo e imprenditore meccanico, conservando sempre la passione per lo scrivere. Le sue ricerche scientifiche finanziate negli anni Trenta da Guglielmo Marconi quando era presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, furono seguite da Enrico Fermi e riguardarono l’azione biologica della radiazione cosmica e di metalli a distanza.
Nel 1945 trasforma il suo studio tecnico di progettazioni nel settore delle industrie alimentari in una società per la costruzione di macchine e impianti per lo stesso settore, nella quale si realizza poi l’ufficio studi per la promozione civica e la difesa ambientale ed ecologica del paese.
Passato dal settore scientifico a quello tecnologico sviluppò successivamente nuovi processi per le industrie agrarie ed alimentari. Negli anni Quaranta scrisse otto libri su problemi di economia e di politica agraria e sulle più avanzate tecniche per la produzione di alimenti e di bevande.
Collaborò al Corriere della Sera sin dal 1949 e firmò una rubrica settimanale sull’”Europeo” intitolata “Dalla parte del cittadino – il potere”.
Nel 1978 il sindaco di Brugherio, in nome della giunta comunale, gli conferì la medaglia d'oro della città in riconoscimento della sua attività oltre che di imprenditore progressista, di difensore civico volontario. In particolare fu dal 1970 che Bertuzzi entrò in scena ma non fu un sessantottino in ritardo. Egli si fece largo propugnando l'idea di una democrazia integrale, da conquistare puntando tutto sull'idea della disobbedienza civile.
Poco prima della sua scomparsa, avvenuta a Milano a 75 anni l’11/2/1988, Bertuzzi era stato protagonista di una dura polemica con il Partito Radicale (La Repubblica del 12/2/1988): eletto deputato nella lista di tale partito grazie al gioco delle opzioni, si era poi rifiutato di dimettersi per cedere il posto a Peppino Colderisi, finendo per iscriversi al gruppo misto della Camera. Per sostenere le sue campagne utilizzava le risorse della sua azienda. Sull'Europeo e su Panorama tenne delle rubriche di un certo seguito e pubblicò 10 volumi con Rizzoli e Mondadori. Tra quelli di maggior successo ricordiamo Scusate signori del Palazzo, La costituzione comoda, Disobbedisco!, Dubitare, disobbedire, combattere.
Gino Caputo
Gino Caputo 20 Aprile 2021
Ci sono libri che vorremmo non leggere. Eppure sono proprio quei libri che, paradossalmente, dovrebbero essere letti per onestà intellettuale, per una giusta ed equilibrata conoscenza della nostra storia, delle nostre radici, di tutto quello che ci ha circondato o che ancora ci circonda. In particolare la ricerca della verità storica è uno sforzo intellettuale in continuo divenire, improntato a rigore metodologico. Se si esplorano zone ancora buie o dubbie degli eventi che ci hanno preceduto, anche non remoti, saranno sempre le nuove fonti acquisite, obiettivamente rinvenute, che ci porteranno a nuova conoscenza, senza timore o remore di rimettere in discussione fatti, convincimenti o ideologie in virtù di un obiettivo e uno solo: quello dell’imparzialità e della verità.
Del libro di Angelo Del Boca, <<Italiani brava gente?>>, Beat Edizioni, 2020 (alla sua decima edizione dal lontano 2005), mi ha attirato quell’interrogativo che poteva essere, anche spiacevolmente, foriero di nuove angolazioni e conoscenze quanto meno ridimensionatrici del comune sentire la nostra italianità.
Il tutto è sintetizzato nel sottotitolo riportato da La Repubblica: Le pagine buie della nostra storia nel racconto <<del più illustre fra gli storici del colonialismo italiano>>.
I giudizi diventano ancora più diretti, senza eufemismi o perifrasi, quando espressi da esponenti italiani della cultura e della politica, vi introducono la passione e la collera, la pietà e il disprezzo, l’urlo del carcerato e la maledizione dell’esiliato. Tali esortazioni ed ammonizioni erano rivolte da membri di minoranze colte a moltitudini distratte o attente a esclusivamente a procacciarsi ogni giorno quel tanto che bastava per vivere.
ITALIANI BRAVA GENTE? a cura di Gino Caputo
Del libro di Angelo Del Boca, <<Italiani brava gente?>>, Beat Edizioni, 2020 (alla sua decima edizione dal lontano 2005), mi ha attirato quell’interrogativo che poteva essere, anche spiacevolmente, foriero di nuove angolazioni e conoscenze quanto meno ridimensionatrici del comune sentire la nostra italianità.
Il tutto è sintetizzato nel sottotitolo riportato da La Repubblica: Le pagine buie della nostra storia nel racconto <<del più illustre fra gli storici del colonialismo italiano>>.
Mi limiterò solo, per non togliere spazio al lettore che sarà interessato agli approfondimenti del libro, ad accennare all’elencazione delle fasi buie che hanno segnato perennemente gli episodi più efferati della nostra storia nazionale e che ci riportano alla guerra al brigantaggio, al mostruoso sistema carcerario nell’isola di Nocra in Eritra, alle rapine ed eccidi compiuti in Cina nella lotta ai boxers, alle deportazioni in Italia di migliaia di libici dopo la sanguinosa giornata di Sciara Sciat, allo schiavismo applicato in Somalia lungo le rive dei grandi fiumi, alla creazione nella Sirtica di quindici lager mortiferi per debellare la resistenza di Omar el-Mukhtar in Cirenaica, all’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite per accelerare la resa delle armate del Negus, alla consegna ai nazisti, da parte delle autorità fasciste di Salò, di migliaia di ebrei, votati a sicura morte.
Ma c’è un altro aspetto trattato nella prima parte del libro che mi ha incuriosito, pur senza offuscare in me l’alta considerazione del genio italico, dei nostri tesori e patrimonio culturale, artistico, architettonico e culturale. Mi riferisco alla disamina dedicata dall’autore alle critiche storicamente riservate agli italiani e ai territori della penisola in periodi, lunghi diversi secoli, economicamente e socialmente infelici.
<<Gli italiani, nel loro insieme, non hanno mai goduto, negli ultimi tre secoli, di molta reputazione. Non c’era viaggiatore straniero che percorresse, per diletto o per affari, la penisola, che non esprimesse in diari o in lettere ai congiunti, giudizi sugli italiani tutt’altro che lusinghieri. Ma anche gli osservatori nostrani, appartenenti alle classi colte, non erano da meno nel rilevare vizi e difetti dei loro concittadini>>.
<<Com’era possibile che un popolo che aveva dominato il mondo, con i suoi eserciti, le sue leggi e la sua cultura, fosse caduto così in basso (…) >><<Il declino era stato lento, ma inarrestabile. Dopo i fasti della romanità era venuto il tempo dei secoli bui, appena interrotto dal miracolo del Rinascimento. Poi, di nuovo, era calata la notte su un’Italia divisa, anzi al massimo della sua frammentazione e impotenza, con governi alle cui corti si parlava francese, tedesco, spagnolo, ma non italiano.>>
Giudizi negativi sugli italiani venivano scritti nei loro diari di viaggio da viaggiatori stranieri noti e meno noti. Tra i tanti, l’abate benedettino Jean Mabillon che era venuto in Italia sul finire del Seicento per completare le sue ricerche sulla cristianità primitiva e medievale, rimase particolarmente colpito, attraversando le regioni dalla Toscana alla Campania <<dall’estrema povertà che vi regnava dai campi abbandonati o poco coltivati, dai rari villaggi, dai contadini denutriti e dalle donne precocemente incanutite>>. Ma anche le persone colte e ricche che incontrava nelle città gli apparivano <<totalmente sorde agli avvenimenti europei, dominate da una passività e da una generale fiacchezza, con la sola inclinazione di “tirare a campare”>>. Joseph Addison, in visita in Italia nei primi anni del Settecento sosteneva che l’Italia <<ormai isolata e immobile non esercitava più alcuna influenza sul resto d’Europa>>.I giudizi diventano ancora più diretti, senza eufemismi o perifrasi, quando espressi da esponenti italiani della cultura e della politica, vi introducono la passione e la collera, la pietà e il disprezzo, l’urlo del carcerato e la maledizione dell’esiliato. Tali esortazioni ed ammonizioni erano rivolte da membri di minoranze colte a moltitudini distratte o attente a esclusivamente a procacciarsi ogni giorno quel tanto che bastava per vivere.
La popolazione della Lombardia, oggi tra le più fiorenti del paese, era ancora colpita dalla pellagra, cioè dalla mancanza della vitamina B3, perché si cibava quasi esclusivamente di mais.
Il lettore di questo libro di Del Boca, tra altisonanti nomi di italiani che usarono crudi moniti o avvilenti giudizi sul paese, troverà, a vario titolo e contenuti, quelli di Giacomo Leopardi, Pietro Giannone, Giuseppe Parini, Gaetano Filangeri, Cesare Beccaria Bonesana, Giuseppe Mazzini, Carlo Pisacane, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Guerzoni, Giosuè Carducci…
In aggiunta, poi, attraverso centocinquantanni di storia nazionale ripercorsi dal De Boca nei contenuti più vasti della sua opera, si auspica che la ricognizione delle aberranti azioni commesse dai nostri connazionali possano essere motivo di profonda riflessione da parte del lettore così da sentirsi motivato a veicolare il più possibile il ripudio più determinato di ogni inaugurato rigurgito di violenza, sopraffazione e ancor peggio soppressione della vita e dignità di ogni essere umano.
GINO CAPUTO
GINO CAPUTO 7 Novembre 2021
GLI ANGELI DEL FANGO
(a cura di Gino Caputo e Dino Martano)
L’alluvione
di Firenze, tra le tragedie che hanno segnato il nostro paese, è ricordata
nella memoria collettiva, oltre che come evento nefasto, anche come occasione
di slancio di solidarietà e di sensibilità per quel patrimonio artistico e
culturale offeso dall’implacabilità delle avversità naturali.
Venerdì 4 novembre 1966 in meno di 12 ore Firenze venne invasa da
80 milioni di metri cubi d'acqua.
La piena dell’Arno, alimentata da giorni di pioggia, ruppe gli
argini poco dopo le cinque di mattina all’altezza del lungarno Acciaioli e del
lungarno delle Grazie, mentre il torrente Mugnone inondava la zona intorno al
Parco delle Cascine.
Il fiume entrò in città travolgendo ogni cosa: case, negozi,
monumenti. L’acqua arrivò fino a quasi cinque metri d’altezza e danneggiò il
Cristo di Cimabue a Santa Croce, travolse le porte del Battistero, coprì di
fango i preziosi volumi della Biblioteca nazionale.
Furono almeno 1.500 le opere d’arte danneggiate, oltre un milione
i volumi sommersi, 30 mila le auto travolte, 18 mila le famiglie alluvionate e
quattromila quelle rimaste senza un’abitazione: 35 i morti, 17 in città e 18
nella provincia.
Le persone, in prevalenza
giovani, che contribuirono ad affrontare l’emergenza successiva all'alluvione
di Firenze del 4 novembre 1966 e che furono di supporto alla prima
ricostruzione, sono state denominate “Angeli del fango”.
Migliaia di giovani, infatti, arrivarono a Firenze nei due mesi
successivi all’alluvione, provenienti da associazioni, scuole università,
scout.
Il primo ad utilizzare la
locuzione “Angeli del fango” è stato il giornalista fiorentino Giovanni
Grazzini in un articolo sul Corriere della Sera il 10 novembre 1966.
Sul fronte universitario dopo
pochi giorni erano circa mille gli studenti volontari impegnati nelle
operazioni di primo soccorso, organizzati all'interno dell'ORUF (Organismo
Rappresentativo degli Universitari Fiorentini), i quali suddivisi in squadre
affiancarono le organizzazioni rionali negli interventi e sin dal 6 novembre
riaprirono la mensa di Sant'Apollonia per offrire il vitto quotidiano.
Dino Martano giovane
universitario nel 1966 era tra quel migliaio di studenti anche lui artefice di
una esperienza irripetibile che segnò indelebilmente quella parentesi di vita.
“… … …..
__________________________________________
https://it.wikipedia.org/wiki/Angeli_del_fango
https://www.corriere.it/reportages/cronache/2016/alluvione-firenze/
Erasmo D'Angelis, Angeli
del fango: la meglio gioventù nella Firenze dell'alluvione a cinquant'anni di
distanza, Firenze-Milano, Giunti, 2016.
Piero Bargellini, Il
miracolo di Firenze: i giorni dell'alluvione e gli angioli del fango, Firenze,
Società editrice fiorentina, 2006.
GINO CAPUTO