San Gregorio Armeno patrono di Nardò 2
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Figura e maniera in San Gregorio Armeno patrono di Nardò
Predica di San Gregorio Armeno
Nel 1680 il vescovo Oronzo Fortunato (1678 – 1707) fece costruire il Cappellone di San Gregorio, un grande corpo di fabbrica aggiunto alla cattedrale e, nello steso anno, per questo nuovo edificio, commissionò al pittore Pietro Lucatelli o Locatelli la grande pala d’altare della Predica di San Gregorio alle genti 9 (fig. 4).
Il Santo collocato a sinistra, invece della mitra, ha l’aureola, ostenta un crocifisso al posto del bastone pastorale e alle sue spalle si nota un colonnato classico (quasi una citazione tizianesca della Madonna di Ca’ Pesaro). Le genti al centro del dipinto, uscendo dalla penombra, ascoltano la parola di Gregorio, a destra, nella semioscurità, si vedono due personaggi (uno con il turbante che ricorda il mondo islamico coevo, l’altro pensoso, vestito all’occidentale, rappresenterebbe le varie correnti protestanti o scettiche), sono perplessi, ma prestano attenzione alla predica, forse le loro certezze cominciano a vacillare, come in termini formali, la chiarezza ed evidenza che risplende nella luce e preziosità dei paramenti del Santo, rischiara in qualche modo le due figure. In lontanaza predomina il paesaggio o meglio la natura (possibile allegoria del paganesimo, mito o necessità mondana), invece, il fatto che accade vicino è cultura, storia, rivelazione (nella colonna classica, nel Santo e nelle genti), quindi natura e storia si incontrano, come a dire che nulla resta escluso, tutto si unisce nella parola salvifica del Santo (o della Chiesa).
Risalta l’impostazione del quadro in profondità (come vuole l’estetica barocca di matrice metropolitana), si va oltre la superficie e lo sguardo penetra nelle distanze tra i piani e nelle scansioni luministico - spaziali. Le figure dense e luminose, poste quasi in proscenio, di Gregorio e della donna con il bambino, suscitano un movimento di lettura che si addentra progressivamente verso il fondo. È l’emanazione luminosa dei corpi - volumi in primo piano (Gregorio e donna con bambino) che si propaga sulle figure centrali accalcate e si attenua in quelle più arretrate ,per riaccendersi nel bagliore verde – azzurrino del paesaggio finale, insomma un fluttuare spaziale di luce, dal primo piano verso il fondo con uno scenografico movimento d’insieme.
Stilisticamente si potrebbe dire un’opera eclettica emiliana - neoveneta (il pittore benché romano e di formazione accademica era di origine lombarda) con una netta configurazione che ricorda Pietro da Cortona ( attraverso il Mola). Si distinguono la donna con il bimbo, in torsione e scorcio manierista, assimilabile alla pittura emiliana del Reni e la cangiante cromia della veste damascata del Santo con il pallio svolazzante che richiama la maniera di certe preziose soluzioni del Veronese. Dal punto di vista coloristico la timbrica romana, nelle figure principali, si stempera nell’atmosfera neoveneta tonale degli astanti in penombra e nel trascolorare del cielo. Sullo sfondo il paesaggio suggerisce gli schemi di Annibale Carracci, Domenichino e Guercino, mentre fanno da quinte le fronde arboree che ricordano la pittura olandese di Paul Brill a Roma 10.
Dipinto di San Gregorio presso il museo del castello
Un grande dipinto del patrono, ora al museo del castello, proviene dalla biblioteca comunale Vergari, insieme ad altri due (Incoronata e S. Antonio) i quali anticamente erano collocati presso il Sedile di città 11. San Gregorio impugna il pastorale a croce patriarcale, indossa la casula (tipica dell’abbigliamento liturgico latino) e pallio episcopale, sul capo ha la consueta mitra ortodossa globosa (come si avrà modo di vedere in altre immagini). Tiene a sé il libro dei Vangeli e la stola appesa al braccio.
Generalmente si dà una datazione tra il ‘600 e ‘700, ma è possibile che l’opera risalga intorno alla prima metà del Seicento, in quanto risente dei modi, almeno nell’impostazione formale, della scuola del D’Orlando 12 (fig.5).
Infatti il Santo, solitario e monumentale ha i piedi ben saldi a terra e campeggia al centro del quadro, evitando gratuite levitazioni. Il paesaggio collinare si trova in basso e, in secondo piano, nella vaga veduta urbana neretina, si potrebbe individuare il campanile della cattedrale con gli ultimi due ordini e cuspide finale del 1596 (distrutto dal sisma del 1743) 13. L’impostazione iconografica ricorda il Sant’Eligio al Carmine, il S. Giuseppe nell’omonima chiesa, il S. Nicola Pellegrino ai Paolotti e, come si nota, nei santi raffigurati (di pittore ignoto) nella chiesa di S. Leucio Martire a Felline 14 del XVII sec. Oltre allo stile un po’rigido e tendenzialmente geometrizzante del D’Orlando, nel S. Gregorio si nota una maggiore morbidezza di forme, l’espressione un po’pensierosa di Gregorio, sapientemente colta da un soffice chiaroscuro (fig.6), analoga abilità si nota nei vaporosi drappeggi mossi da delicate creste di luce, soprattutto in basso con l’orlatura merlettata della veste.
9. E. Mazzarella, La Cattedrale cit., p. 55 - 56
10. Marta Alvarez, La Wunderkammer, Lo Studio e i Segreti della Natura, in Storia dell’Arte, vol. X Electa,
Milano 2006, p. 142
11. G. B. Tafuri, cit.,libro I, cap. IV, p. 57 (il Tafuri menziona solo l’Incoronata)
12. Cfr. Mario Cazzato, Per una Biografia Critica di Antonio Donato D’Orlando, in Sulle Vie delle Capitali del
Barocco, Regione Puglia C.S.P.C.R. Nardò, 1986. Cfr. anche Marcello Gaballo, Vox clamantis in deserto, La chiesa e la confraternita di San Giovanni Battista, Grenzi Foggia, 2022, pp.39 -44
13. Fabrizio Suppressa, Nardò e i suoi campanili tra arte, storia e architettura, in La Scuola e l’Arte, scritti per Bartolomeo Lacerenza (1940 -2019), a cura di M. Gaballo, Congedo Galatina 2021, p. 217.
14. Lucio Galante, Pittura in Terra d’Otranto, Congedo Galatina, C.R.S.E.C., LE/46 Casarano, 1993, figg. 38, 40