San Gregorio Armeno patrono di Nardò 3
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Figura e maniera in San Gregorio Armeno patrono di Nardò
Tele del Santo nella chiesa del Carmine e in cattedrale
In generale tra Sei e Settecento nel Salento si moltiplicano le raffigurazioni di santi (anche in cartapesta), sculture e pitture sono dappertutto, sui timpani, balaustre, nicchie, nelle ampie figurazioni chiesastiche, nelle processioni con simulacri e immagini ecc. I santi stanno lì per proteggere e rassicurare le comunità, sono i nuovi eroi, riveriti e festeggiati dal popolo, occorreva far percepire alla gente l’importanza dell’aristocrazia celeste di cui i santi sono l’espressione autentica, come nell’aldiquà lo sono il clero e la nobiltà 15.
Ecco quindi nei primi anni del ‘700 due figure imponenti (olio su tela) di San Gregorio nella chiesa del Carmine (fig.7) e nella sagrestia della cattedrale (fig.8). Nelle due tele San Gregorio campeggia sollevato da terra tra solide nubi, accompagnato da angeli e Cherubini, generalmente i santi vengono raffigurati con gestualità relative, cioè in adorazione, in preghiera, nel subire il martirio, nel fare miracoli ecc., spesso insieme ad altri pari grado e personaggi vari, non senza una certa coloritura psicologica. Invece nella tradizione iconografica bizantineggiante i santi sono visti in situazioni irrelative e assolute, in pose ieratiche spesso senza alcun rapporto con altre figure, basta farsi un giro per le cripte rupestri del Salento per avere riscontro. Paradossalmente nelle grandi tele del Carmine e della cattedrale, pare si voglia ritornare, pur con tutta la flessibilità pittorica ed espressiva occidentale post barocca, all’immagine del santo in solitudine (come, peraltro si è visto nel dipinto del castello), unico essere terrestre a spaziare nei cieli, sorretto da nubi corporee.
La composizione del Carmine possiede uno sviluppo piramidale, in basso la pesantezza della materia, sebbene levitante (corposità delle nubi, sporgenza fino al piano limite, delle ginocchia del Santo), in alto la rarefazione atmosferica intrisa di calda luce dove si addolciscono e sfumano le forme dei Cherubini. Si aggiunga, come fattore ideale polarizzante, in sintonia al diluirsi in alto delle forme in luce - colore, lo sguardo austero ed estatico di Gregorio rivolto verso il cielo. Plasticamente, il movimento nasce dal braccio, pastorale e ginocchia protesi in avanti (un po’ alla Michelangelo), quasi a lambire il piano frontale (immaginario) del dipinto, mentre il busto arretra leggermente. Le intense pieghe della veste non aderiscono pienamente al movimento delle gambe, ma seguono altri rigonfi drappeggi illuminati o in ombra, a seconda del punto di vista, insomma un Santo nitidamente visibile nella chiarezza della forma e, al contempo, entità trascendente e sensibile agli effetti luministici. La datazione va dal 1701 al 1749 (misure 2,45 x 1,45), secondo la scheda dell’ICCD e attribuito a Francesco Solimena 16, ma forse sarebbe meglio dire della sua scuola, in quanto un confronto con le opere del napoletano nel duomo di Napoli (nella raffigurazione di San Giovanni Damasceno e altri) 17, più vicine stilisticamente e queste tele, mostrano un disegno più inciso, contorni definiti e chiarezza analitica della luce. Comunque nell’opera neretina rimane il pieno recupero volumetrico e un certo plasticismo alla Preti (senza le profondità intensamente ombreggiate dal pittore calabrese). Altro riferimento per l’opera del Carmine e della cattedrale è la tela raffigurante San Gregorio Nazianzieno, contraddistinto da una luce tenue e pulviscolare, posto nella cappella del seminario di Lecce, opera di Paolo De Matteis 18, pittore, però, di formazione giordanesca, quindi incline a una maggiore leggerezza di tocco. Nell' opera del Carmine, per quanto riguarda i consueti attributi iconografici, in particolare, al posto della palma, compare un drappo rosso, simbolo del sangue dei martiri.
Anche la grande tela della cattedrale, assimilabile a quella del carmine, è dello stesso periodo, San Gregorio si trova tra le nubi porta la mitra, lo si vede avvolto in un soffice manto cangiante e pallio crucifero intorno al collo, in basso un angelo gli offre il modello della città di Nardò 19, segno del suo patronato, mentre rapito guarda verso l’alto. Quest’opera si caratterizza per un movimento di masse più sciolto e scorrevole, grazie ad uno sviluppo configurativo in diagonale (direttrice: angelo con il modello di città, braccia aperte del Santo, palma del martirio) favorito da una più accurata intensità di chiarore sul lato destro del Santo, evitando una possibile la staticità in asse della composizione.
15. Antonio Novembre, Ad un passo dall’effimero: note e osservazioni sull’arredo urbano nel Salento, in AA. VV. Barocco Leccese, Electa, 1979, p. 188
16. Ministero della Cultura Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Scheda ICCD San Gregorio Armeno, 1993 -1999 a cura di E. Fiorentino, F. Barbone.
17. http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/65816/Solimena%2C%San%Giovanni%20Damasceno
http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/67157/Solimena%2C%Assunzione%20della%20Madonna
18. GAETANO MONGELLI Paolo De Matteis in Puglia, in Ricerche sul Sei - Settecento in Puglia , a cura di MARIA LUISA MORTARI Schena Fasano, 1980, p.108
19. BENEDETTO VETERE, SALVATORE MICALI Nardò, Congedo Galatina, 1979, p. 27